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L’ecologia del talento

​Il terreno, l’ambiente sociale, famigliare, civile in cui si può sviluppare il talento porta con se la “possibilità” di sviluppo. Senza il giusto terreno la nostra radice non riesce ad uscire, ad esprimersi e a diventare quello per cui è nata.

Pensiamo a quanti talenti, soprattutto femminili, non si sono espressi a causa delle condizioni sociali in cui vivevano e coltivavano le proprie passioni le donne; a quanti inventori, precursori di nuove visioni e studiosi delle leggi universali sono stati incompresi e addirittura tacciati per eretici.

Oggi le possibilità nel nostro mondo sono apparentemente migliori, per lo meno nel mondo occidentale in cui viviamo eppure, ciò nonostante esistono situazioni losche, in cui sotto la finta luce di valori altisonanti (aziendali o famigliari) si finisce invece per essere manipolati da una cultura aziendale o famigliare incoerenti con quegli stessi valori.

Ecco che allora la cooperazione diventa competizione, la creatività diventa inopportuna, lo spirito d’iniziativa diventa arroganza e la crescita di un’organizzazione si fermala li, davanti al muro dei pregiudizi figli delle paure di essere un po’ meno bravo e riconosciuto del collega.

Esistono ancora generazioni di manager e classi dirigenti per cui il significato della parola “lavoro” non equivale al concetto “esprimo il meglio di me stesso, per il bene mio e di quello della comunità” ma significa “voglio riconoscimento, e lavoro per ottenere un livello sociale ed economico che mi fa sentire stimato”. Un riconoscimento non di valore ma basato sul compenso: soldi, auto, benefit vari da poter sfoggiare perché è la forma fisica del riconoscimento stesso il pilastro della propria autostima e fiducia in se stessi. Purtroppo però nessun stipendio o benefit sarà mai abbastanza perché allegato al pacchetto del riconoscimento c’è il macabro dono della paura di perderlo, e quindi il bisogno di acquisirne sempre più.

Questa paura uccide il talento proprio e quello degli altri, perché chi ne è schiavo è disposto a rinunciare a tutto (passioni, talenti, affetti) pur di salvare quella che crede la propria forma di benessere e realizzazione.

Essere apprezzati e amati dagli altri è parte importante del nostro percorso di crescita e di autosviluppo, in quanto esseri umani capaci di definire il nostro ruolo nella società e sentirci realizzati.

Ma la tappa vera di una persona talentuosa è superare se stesso, andare verso la propria realizzazione, dove la sensazione di appagamento e benessere non dipende più solo dall’opinione altrui ma dalla propria forza creativa, dall’impegno verso la coltivazione del proprio potenziale e dalla sensazione di benessere che si raggiunge quando il talento di esprime.

Questa potente emozione positiva, va oltre il benessere dell’essere apprezzato, ma è l’essenza del nostro essere che si esprime.

Se ci fate caso i più grandi talenti sempre seguito la loro strada, sicuri della loro intuizione anche a costo di essere bistrattati (Galileo), abbandonati (Van Gogh); hanno lottato per affermare se stessi e il proprio talento. Sono le persone che hanno affermato e creduto nel loro talento, di cui si sono nutriti, che hanno fatto crescere la propria comunità.

Ora, se avete un capo ancora legato al riconoscimento per alimentare la stima di se, scappate! Non creerà terreno fertile per sviluppare il vostro. E se non potete scappare prendetene atto, siate consapevoli delle sue paure perché la consapevolezza aiuta ad accettare, ma non rinunciate ad esprime il vostro potenziale, fatelo altrove, ma fatelo.


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